L’opera d’arte è precaria nel suo lavoro di ricerca dei punti di congiunzione e zone d’ombra che raccontano il rapporto tra visibile e invisibile. Bisogna attingere dal vento e fare sì che la sua energia circoli insieme a quella della luce; le forme non devono ostacolare ma diventare parte del gioco, la lettura non può fermarsi alla forma della materia. Essa deve andare oltre, essere capace di rendere visibile l’invisibile. Lo spazio, i vuoti e i pieni assumono significati differenti, ispirando così racconti e visioni dalle infinite possibilità. L’opera d’arte è infinitamente interpretabile, come la vita. Ogni sfumatura determina un contesto differente, unico e irripetibile; i vuoti e i pieni sono temporanei e interpretabili. Tutto nell’opera e nella ricerca è precario come nella vita, dove il conflitto è costante.
Esistono conflitti nel nostro intimo che a volte fanno male e sono dannosi, altre fanno bene e sono guarigione - possono così ristabilire nuove visioni e nuove convinzioni. Tutto quello che vive sulla terra e nel cielo interagisce con la nostra visione della vita, e la cifra di questa interazione è proprio il conflitto. Nel conflitto i pieni e i vuoti si scambiano così velocemente da risultare diversi ad ogni sguardo e ad ogni nostra azione, tutto si modifica continuamente, nulla è mai assolutamente oggettivo e certo.
L'oggettiva certezza è una condizione di cui sentiamo il bisogno per ancestrale induzione educativa; un’oggettiva certezza è la convinzione che il conflitto si trasformi in guerra. Il conflitto invece è piuttosto necessario, al contrario delle guerre. Abbiamo imparato l’arte della guerra invece che la cura del conflitto; la vita nasce dal conflitto e dalla sua cura, non dalla guerra che porta distruzione e dolore. E’ chiaro allora che guerra e conflitto non possono essere sinonimi: la guerra è violenta e ignorante, il conflitto cura con il riconoscimento dei punti di vista.
Pablo Picasso dipinse Guernica nel 1937, indignato per l’atrocità della guerra civile; l’opera diventò manifesto contro la barbarie delle guerre - un manifesto prigioniero del museo, mentre le guerre continuano ad essere libere...Dovremmo portare le guerre con i suoi orrori nei musei e lasciare l’arte vivere fuori, in ogni angolo del pianeta, con la sua bellezza nella diversità, nel pensiero libero, nell'amore per la vita, nello scambio e nel conflitto.
Se l’arte porta pensiero libero, la guerra produce solo pensiero carnefice, (Nel 1963 Hannah Arendt pubblicava “ La banalità del male “, frutto della sua attività di cronista durante il processo al criminale nazista Adolf Eichmann, responsabile della morte di milioni di ebrei. La Arendt trarrà la convinzione che Eichmann, così come la maggior parte dei tedeschi corresponsabili della shoah, non lo furono a causa di una loro disposizione del male, ma perché parte di un’organizzazione gerarchica in cui i burocrati addetti alla trasmissione degli ordini erano inconsapevoli del significato ultimo delle loro azioni. ( pag 64/ 65 la nazione delle piante – Stefano Mancuso ) Quello che la Arendt scriveva scandalizzò il mondo: non solo la Shoah poteva accadere di nuovo, ma chiunque ne sarebbe potuto essere responsabile. vedi anche Primo Levi, “Se questo è un uomo” )
L’arte rimane uno strumento rivoluzionario, apre spazi e visioni impensabili, ci arricchisce di linguaggi diversi. Contesti dinamici e veloci, eternamente presenti e virtuali come quello attuale hanno bisogno di un’azione opposta; è necessario ritrovare la lentezza dell’arte, la sua natura osservatrice e propositiva, l’opposto necessario. Quando tutto si trasforma, l’arte è sempre al di là delle barricate per ribadire ed affermare il bisogno di visioni differenti, per riconoscere e curare il conflitto.
Questa mia rivisitazione multidimensionale del Guernica è, oltre che un evidente richiamo all’originale, un’opera che intende coinvolgere gli spettatori, invitandoli ad interagire in un viaggio attraverso i non vuoti e i non pieni di uno spazio che cambia continuamente. E’ inoltre una intuizione figlia di quel mondo dell’istinto a cui mi ispiro da molto tempo con il lavoro sullo scarabocchio ; lo scarabocchio è un castello errante dentro ognuno di noi, impertinente e bizzarro ma anche pigro e dispettoso, intuitivo e geniale, nutre la necessità per il cambiamento continuo attraverso il caos, appartiene al mondo dell’infanzia. I vuoti non sono vuoti e i pieni non sono pieni; così vive lo scarabocchio, che diventa progetto e ancora di più Cura per rigenerare materie considerate scarto.
Luce, aria e vento sono elementi che partecipano al mio lavoro, dai quali non posso prescindere. Essi contaminano i miei movimenti e le mie emozioni; tutto rimane impresso nella materia e nell’invisibile di quei non vuoti e non pieni, sintesi di un tempo precario e fragile. La ripetizione sistematica dell’evento drammatico, della guerra, porta allo svuotamento delle forme: i corpi pieni scompaiono e rimangono solo gli scheletri del dolore. E’ allora che interviene la cura, la quale offre la possibile visione del cambiamento: i vuoti si riempiono di luce, di colori e di visioni; i pieni si ridimensionano, lasciando lo spazio alla luce , al vento che diventa scultore, creatore di inaspettate nuove armonie. Gli elementi luce, aria e vento tramite il mio lavoro attraversano i presunti vuoti trasformando il dolore della tragedia in consapevolezza della cura.
Tondini di ferro corroso, recuperati dall’abbattimento di una vecchia casetta, sono il materiale con cui ho realizzato questo lavoro. La composizione del materiale non era più soltanto ferro; c’è un visibile materico e un invisibile immateriale. Sofferenza, stanchezza, coraggio e disperazione - materiale di un tempo andato che si offriva nuovamente per rinascere in un tempo nuovo, in un oggettivamente differente, per trasformare il dolore in consapevolezza.
Il progetto prevede che l’opera sia itinerante, fermandosi in ogni scuola che voglia ospitarla, in modo da far interagire gli studenti con i suoi pieni e vuoti, e che la scuola possa diventare luogo di vita dell’arte.
L’opera, delle dimensioni di 8x3.30x2.50 metri, è composta da 11 elementi su fondale di tela bianca.
Siamo figli del conflitto.
Da qualsiasi genesi nasca la vita, essa è conflitto e richiede la cura .
Sergio Scarcelli
inizio lavoro settembre 2021 fine lavoro marzo 2022
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